Animot 13. So long, and thanks for all the fish

Numero 13, Aprile 2023
SO LONG, AND THANKS FOR ALL THE FISH
A cura di Alice Benessia
Abstract
“Addio, e grazie per tutti i pesci”. Con questa frase i delfini lasciano il pianeta per nuovimondi, ascendendo all’unisono dal mare al cosmo. La Terra sta per essere distrutta. Hanno tentato senza sosta di avvertire gli umani del pe- ricolo, e tuttavia, fino all’ultimo, non sono stati capiti. Molto arrogante e poco brillante, la specie umana interpreta come prodezza da circo quello che per i delfini è l’ultimo messaggio di addio. Con una delle più surreali immagini della letteratura fantascientifica degli anni 80, lo scrittore e umorista britan- nico Douglas Adams evoca la ridicola inadeguatezza della nostra specie nel farsi capace di comprendere l’altro da sé – nel caso specifico un’altra specie animale – al punto da non accorgersi della propria brutale presunzione e dell’imminente disastro collettivo. A distanza di quattro decenni, interrogarsi su come comprendere l’altro da noi è quanto mai di vitale importanza: non solo l’altro animale (umano e non uma- no) ma anche vegetale, fungo, lichene, microrganismo, minerale, roccia; e an- che fiume, foresta, oceano, montagna; il flusso costante di materia organica e inorganica che ci circonda, ci abita, ci costituisce. Nelle voci di una nuova e in-dispensabile ricerca relazionale – al di là della separazione tra scienza e arte – questo numero della rivista esplora come possiamo fare silenzio e prestare attenzione, aprire dei varchi nelle fessure del nostro essere, attraverso i quali ascoltare le storie che l’altro racconta per noi e con noi, da migliaia di millenni.
Sommario
Valentina Avanzini e Gabi Scardi, Editoriale – Tornare a casa
Alice Benessia, Introduzione – So Long, and Thanks for all the Fish
Cyrilla Mozenter, L’Utopista Fallito
Corpi di conoscenza e saggezza: la scienza come collaborazione tra esseri
Una conversazione tra Monica Gagliano e Alice Benessia
Tracce – Charles Russell
Lo spazio intermedio: comprendere la vita con gli Animali
Una conversazione tra G.A.Bradshaw e Alice Benessia
Tracce – David Bohm
David Waltner-Toews, Scienza immaginativa e ecologia politica
Tracce – Raimon Panikkar
Andrea Caretto e Raffaella Spagna, Questions to the Yamuna River
Domande dal fiume Yamuna
messe per iscritto da Tim Ingold
Coltivare la vita: pratiche di rigenerazione nell’Horta di Valencia
una conversazione tra Xavier Luján e Chiara Sgaramella
Alice Benessia, Essere animale: estratti dal diario di Pianpicollo
Editoriale
La prima volta che Alice ci ha raccontato il suo progetto per questo numero, che si pone l’ambizioso compito di approfondire l’interconnessione tra i regni dei viventi, ci ha parlato di postura: avrebbe coinvolto persone che dimostrano questa profonda interconnessione tra mondi grazie al modo stesso con cui li interrogano. Una postura, un porsi-nel-mondo, quindi, che mette in discussione non soltanto i confini della propria disciplina, ma il modo in cui si conosce e ci si relaziona con il vivente.
Così, ad esempio, il duo artistico Caretto / Spagna si mette in ascolto della voce antichissima del fiume Yamuna, interrogandolo secondo i dettami dell’idromanzia e traendone le opere che compongono uno degli interventi artistici di questo numero.
La voce del fiume, a sua volta, si fa tangibile attraverso la penna di Tim Ingold, che ha generosamente messo per iscritto le domande di Yamuna agli esseri umani.
O ancora, nell’intenso dialogo tra Alice Benessia e Monica Gagliano, la scienziata ripercorre la strada che l’ha portata a considerarsi una componente inestricabile del mondo che stava studiando, lasciando penetrare la necessità di creare relazioni in quello che avrebbe dovuto essere solamente un campo di studio.
Allo stesso modo, l’accorato articolo di David Waltner-Toews mette in crisi non solo il paradigma scientifico attuale, ma il vero senso di noi come esseri monolitici incaricati di frammentare il mondo per poterlo comprendere. Si viene così a delineare la suggestiva immagine di organismi-totem, attorno a cui si organizza una complessa moltitudine di società microbiche che distrugge l’idea che possa esserci vita al di là dell’interdipendenza.
Concetto, questo, che in qualche modo risuona con l’idea di humus umano che Xavier Luján, in conversazione con Chiara Sgaramella, definisce condizione imprescindibile per la creazione di progetti a lungo termine che possano “rivitalizzare la terra”. Così, lungo le pagine di questo organismo-libro – che a sua volta deve la vita alla coesistenza e alla conversazione visibile o invisibile tra scienziatə, artistə, studiosə e professionistə a cui va tutta la nostra gratitudine – viene suggerito un ri-centramento del proprio posto nel mondo. Un ri-centramento delle relazioni, dei saperi che abbiamo ricevuto in eredità e che ora scricchiolano sotto il peso di tutta la vita che esige di essere presa in considerazione.
Se seguiamo John Berger, per centro non si intende un nuovo punto di vista privilegiato, che di nuovo ci separa dal resto, quanto piuttosto “il luogo in cui una linea verticale ne incrocia una orizzontale. La linea verticale è un percorso che porta in alto verso il cielo e in basso verso gli inferi. La linea orizzontale rappresenta l’intreccio del mondo, tutte le possibili strade che attraversavano la terra per raggiungere altri luoghi”. Il punto dove queste linee si incrociano, secondo Berger, è ciò che possiamo chiamare casa.
Parlando del modo in cui ha ritrovato se stessa e il suo lavoro di nuovo immersi nella rete della vita, Gay Bradshaw scrive esattamente questo: “questa reintegrazione, questa riparazione, è il mio ritorno a casa”. Ci auguriamo che per chi legge, come per noi, questo numero di Animot possa essere un modo di seguire con fiducia le strade del vivente, per poi ritrovarsi, di nuovo e finalmente, a casa.
Vogliamo ringraziare chi ha reso possibile tutto questo: la casa editrice Safarà, LAV che ancora una volta ci permette la stampa e la diffusione di queste pagine devolvendo parte del suo 5×1000, il prezioso contributo di Valeria De Siero per la traduzione dei testi.
Di nuovo, la nostra gratitudine va a tutti i totem umani che con il loro pensiero, il loro operato e le loro parole hanno reso questo numero così prezioso. Sopra ogni cosa, ringraziamo Alice Benessia per la professionalità, l’intelligenza e soprattutto l’amore che ha riversato in queste pagine.
La scena divertita e apocalittica che dà il titolo a questo numero vede i delfini alzarsi in volo e lasciare la terra: la specie umana non è stata in grado di ascoltare i loro avvertimenti e, fino alla fine, continua a non comprendere, scambiando il loro addio per un’esibizione da parco acquatico. Li immaginiamo oggi, i delfini addestrati per difendere le navi russe nel porto di Sebastopoli, alzarsi in volo sopra la Crimea, disertando l’inutilità di una violenza che non conosce confini di spazio e di specie (o li conosce fin troppo bene).
Ma non c’è, in questi delfini fuggitivi, nessuna forma di amarezza, non c’è rabbia, non c’è odio e nemmeno frustrazione. Ballano, cantano e, prima di andarsene, trovano il tempo di ringraziare. Consapevoli di non avere la possibilità, e neppure il desiderio, di volare via, vogliamo porci in ascolto con lo stesso spirito di apertura.
La Direzione