Animot 4. Cinema: animale razionale

Anno II, numero 2, dicembre 2015
Cinema: animale razionale a cura di Silvio Alovisio ed Enrico Terrone
Abstract
Il cinema rappresenta i personaggi sia in situazioni considerate tipicamente umane (linguaggio, ragionamento, società, politica) sia in situazioni che l’uomo condivide con vari animali (percezione, azione, locomozione, sesso, morte,nutrizione, riproduzione, combattimento). D’altra parte il cinema nasce come arte muta e si impone per la sua impressionante analogia con la percezione, e in tal senso esso sembra particolarmente versato per la rappresentazione di situazioni condivise da animali umani e non umani. L’obiettivo principale di questo volume è indagare la capacità del cinema di far emergere la dimensione animale dell’umano inteso aristotelicamente come “animale razionale”. Nella prima sezione si considera quel che vi è di animale, oltre che di razionale, nel funzionamento del cinema stesso. Nella seconda e nella terza sezione si considerano rispettivamente peculiari film e generi cinematografici, capaci di far risaltare la dimensione animale costitutiva dell’essere umano.
Sommario
- Silvio Alovisio ed Enrico Terrone, Cinema: animale razionale
- Costanza Candeloro, Il Conte di Kevenhüller
Cinema
- Colin McGinn, Una teoria multimodale dell’esperienza filmica
- Domenico Spinosa, Incursioni. La forma filmica tra estetica e biologia
Film
- Thomas Wartenberg, King Kong come critica della civilizzazione
- Daniela Angelucci, Pecore in salotto. Note su L’angelo sterminatore di Buñuel
- Ernesto Calogero Sferrazza Papa, Punire il verme. Il potere zootecnico e l’allevamento umano
Generi
- Giovanna Maina e Federico Zecca, Anim(h)ot. Riflessioni su pornografia e animalità
- Luca Bandirali, Animal Filmhouse
- Maurizio Ferraris, Cinema per bambini e animali
Appendice
- Costanza Candeloro per Animot numero 4, a cura di Antonio Grulli
Editoriale
Secondo Jacques Derrida il cinema è la prova che «l’avvenire appartiene ai fantasmi»: le immagini proiettate di chi non esiste più, ma che ora ci parlano comunque in un tempo presente, sono la persistenza della traccia e della memoria. Animot giunge al suo quarto numero, due anni di lavoro e di ricerca, e il tema che intreccia cinema e animalità sembrava perfetto per celebrare questo momento: i fantasmi per eccellenza sono, infatti, gli animali non umani. Piegati nelle forme e nel dolore dalla scure dello specismo, proiettati già morti nei video degli attivisti per salvare qualche altro animale che prenderà il loro posto, possono trovare sola consolazione in una parafrasi per sillogismo rispetto a ciò che abbiamo detto all’inizio citando Derrida: “l’avvenire appartiene agli animali”. Silvio Alovisio ed Enrico Terrone chiamati a questo anomalo, ma senza dubbio visionario compito, hanno regalato ad Animot un numero di intensa complessità: diviso in tre sezioni – Cinema, Film e Generi – e corredato della nostra solita appendice artistica, questo volume si propone di trovare un varco inaspettato per gli studi animali del futuro: l’animalità come alterità delle forme proiettate allo schermo. Chi sono questi fantasmi? E come possiamo metterci in contatto con loro? L’animalità, forse, altro non è che una staffetta: continuare un lavoro passato, salvando individui che muoiono mentre parliamo, tentando di costruire il futuro per individui che ancora non esistono. Costanza Candeloro, che incontrata quando aveva dodici anni durante una ormai lontana estate da Leonardo Caffo dimostra ancora una volta ciò che stiamo dicendo attraverso David Foster Wallace, ovvero che «ogni storia d’amore è una storia di fantasmi», ha donato ad Animot un lavoro artistico in cui la traccia nel cinema oscilla tra dubbio ed esclamazione: tra certezza del dolore e dubbio sulla possibilità di cambiare. Ad Antonio Grulli che ha curato per noi il lavoro di Costanza, e tutti gli autori che da Luca Bandirali a Maurizio Ferraris (che ha creduto ancora una volta in Animot), va un sentito ringraziamento: i tempi per una valutazione sulla rivista sono ormai maturi, e anche se il compito non spetta a noi qualsiasi giudizio eventualmente positivo deve molto a tutti coloro che hanno scelto, ancora una volta con Derrida, di “donare il tempo” a questo progetto editoriale. Il compito che ci attende e immenso e complesso: molti sono i varchi da aprire attraverso l’animalità, ma dalla letteratura all’architettura, passando adesso per il cinema verso l’amore e la psicanalisi, Animot sta cercando di onorare la difficoltà ma la necessità dell’impresa. Anche noi siamo fantasmi: qualcuno di voi leggerà questo numero quando la rivista sarà già chiusa, noi già morti, e il tempo perduto non potrà più neanche essere cercato. Se è così, proprio come per le interpretazioni dei fantasmi dello schermo a cui questo numero dedichiamo, significa che il testimone della staffetta è ora passato a voi: buon lavoro, il futuro è solo una questione di prospettiva.
La Direzione